La millenaria storia di Sant’Erasmo trova nel Novecento la propria “consacrazione” di stabile realtà residenziale: le dighe di S. Nicolò e Punta Sabbioni trasformano la geografia locale dell’antico “Litto” (Lido), consentendo all’isola un più armonico sviluppo all’interno delle tranquille acque lagunari. La rapida “colonizzazione” novecentesca, con il trasferimento di numerose famiglie provenienti dalla terraferma, farà il resto e porterà all’insediamento di una nuova comunità rurale, connotando ben presto Sant’Erasmo come “l’orto della Serenissima” – con le sue colture ortofrutticole, le vigne, il rinomato “carciofo violetto” – e creando una realtà con una propria tradizione e una propria orgogliosa identità, ben distinta dai luoghi del consumo turistico. Oltre all’elemento “marino”, per parlare di Sant’Erasmo occorre quindi mettere in primo piano un altro elemento fondamentale: la terra. Se, infatti, luoghi come Burano e Pellestrina si sviluppano soprattutto attraverso la pratica della pesca, se Murano “investe” sull’arte vetraria e il Lido coltiva da decenni una propria vocazione turistica, a Sant’Erasmo è la “terra coltivata” a segnare le tracce di una memoria condivisa. L’isola di Sant’Erasmo, che per secoli aveva delimitato il mare dalla laguna, proprio per la sua particolare ubicazione sembra riassumere quella che è la storia delle isole veneziane. L’alba e poi il tramonto del Novecento la colgono nella medesima situazione di osservatrice diretta e attenta nell’impegno a difesa della laguna e di Venezia.
(0)