Paradosso. Rivista di filosofia

Fondata nel 1990, «Paradosso» intende essere una rivista di filosofia, senza ulteriori specificazioni, per lo più debitrici ad effimere mode culturali, e senza arbitrarie suddivisioni disciplinari. Al centro di ciascun fascicolo è posta una tematica generale, corrispondendo a quel modo di concepire la scepsi che di fronte a un problema non pretende di fornire una risposta, ma invita piuttosto a “svilupparlo”.

La rivista è pubblicata dalla casa editrice Il Poligrafo dal 1997.

collegio di direzione: Massimo Cacciari, Danielle Cohen-Levinas, Umberto Curi, Massimo Donà, Emanuela Fornari, Bruna Giacomini (), Gianluca Garelli, Sergio Givone, Massimiliano Marianelli, Giacomo Marramao, Francesca R. Recchia Luciani, Laura Sanò, Vincenzo Vitiello

comitato scientifico: Gérard Bensussan (Università di Strasburgo), Francesco Cattaneo (Università di Bologna), Claude Cazalé Bérard (Università di Paris X- Nanterre), Catherine Chalier (Università di Paris X- Nanterre), Rossella Fabbrichesi (Università degli Studi di Milano), Monique Jutrin (Università di Tel Aviv), Vivian Liska (Università di Anversa), Orietta Ombrosi (Università di Roma La Sapienza), Francesca Rigotti (Università della Svizzera italiana, Lugano e UZH - Universität Zürich), Carlo Sini (Università degli Studi di Milano), Stefania Tarantino (Università degli Studi di Salerno), Francesco Tomatis (Università degli Studi di Salerno), Claudio Tuozzolo (Università degli Studi “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara), Christoph Wulf (Università di Berlino)

segreteria di redazione: Giuseppe Armogida, Lorenza Bottacin Cantoni, Jacopo Ceccon, Alberto Giacomelli (caporedattore)

La rivista attua la procedura di peer review per la valutazione dei contributi da pubblicare. Nella lista aggiornata al 09/02/2022 delle riviste scientifiche ai fini dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, «Paradosso» compare accreditata nell'Area 11.

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CALL FOR PAPERS «PARADOSSO»:  VIOLENZA, GUERRA, STORIA: LE SFIDE DEL PENSIERO CONTEMPORANEO

Le proposte di contributo vanno inviate all'indirizzo redazione.paradosso@gmail.com entro il 20 dicembre 2023

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In genere, si considera giusto un equilibrio raggiunto quando nessuna delle parti contendenti prevale sull’altra: in tal senso la giustizia tende a mantenere la pace tra istanze differenti. Tuttavia, la guerra e la violenza minacciano costantemente l’orizzonte del bene: quando il più forte sopraffà il più debole si profana il concetto stesso di equità e dell’ordine di questo mondo. Questa fragile armonia diviene cruciale quando si esamina il tessuto stesso delle relazioni tra esseri umani, essa si pone come obiettivo quasi utopico, mai definitivamente raggiungibile. Il conflitto sembra invece innervare e animare le vicende umane. La tensione a prevalere, ad avere potere sugli altri, manifesta il meccanismo che per secoli ha mosso, e muove ancora oggi, una parte significativa della storia dell’umanità attraverso guerre, violenze, lotte per la supremazia.

La stessa idea, di giustizia e di Bene, viene costantemente minacciata dall’esercizio di un potere che può corrompere gli ideali più nobili piegandoli alle dinamiche di conflitto e prevaricazione fino a includerli nella cosiddetta “ragione di guerra”. Testimoni di quest’aporetica concezione, artisti, filosofi, teologi e politici hanno tentato di giustificare, di criticare o di decostruire i presupposti ideologici del polemos fondante il pensiero occidentale.

Il presente volume intende esaminare alcuni snodi essenziali del pensiero contemporaneo e interrogarsi su come la lotta per il dominio e la pretesa di una giustizia fondata sulla legge del più forte ancora prevalgano nell’attuale panorama storico.

Quali sono, ancora oggi, per l’uomo di ogni epoca, le ragioni scatenanti “collera” e ingiustizia?  Che cosa l’arte, insieme a un’intensa elaborazione mitografica, restituisce dal tempo nei termini di violenza o di rifiuto di quest’ultima? In che modo le ferite inferte nelle diverse epoche dall’uomo sull’uomo continuano a tornare, come cicatrici, sul volto del mondo? Quale orizzonte teologico-politico e filosofico qualifica il nostro tempo e consente, oggi, di ripensare, rileggere e attualizzare quello che la storia dell’umanità ci ha restituito sviluppandosi intorno al plesso costituito da  violenza e potenza? Infine, la stessa idea ciceroniana di una Historia magistra vitae può valere ancora? In che modo il tempo concepito, invece, come luogo della “vita della memoria”, rischia di lasciare spazio alla ripetizione di crimini e violenze che si ripresentano senza soluzione di continuità e ciclicamente?

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