Palazzo Treves dei Bonfili e il suo giardino

Sino a poco più di un secolo fa Padova era una città straordinariamente ricca di aree verdi. Edifici pubblici e privati, conventi e palazzi dominicali di grandi e piccole dimensioni erano tutti dotati di magnifici giardini, mentre vaste aree erano ancora destinate alla coltivazione. Nel corso dell’Ottocento molte di queste residenze vengono riammodernate secondo le nuove esigenze abitative, e così i parchi e i giardini. Un mondo segreto e insospettabile, celato oltre i portoni di accesso dei palazzi che si affacciano sulle strette vie della città. Da qui nascono il palazzo e il giardino Treves dei Bonfili a Ponte Corvo, proprietà di una famiglia di ricchi mercanti e banchieri ebrei trapiantati da Venezia a Padova.
Si può  scrivere di un palazzo che non esiste più? Sì, perché ne rimane il magnifico giardino a suggerirci la bellezza dell’edificio progettato da Giuseppe Jappelli e perché possiamo entrare nella storia dei suoi committenti. La ricorrenza del nome di questi munifici mecenati nelle cronache dell’epoca e la fitta rete di relazioni e connessioni che sistematicamente riconducono alla loro influenza in contesti diversi offrono un vivace spaccato di storia cittadina ottocentesca. L’apporto dello studio sui Treves, inedito sotto molteplici aspetti, sta nell’aver restituito una consistenza seppur “virtuale” a un patrimonio culturale andato ormai quasi completamente disperso e nell’aver portato alla luce una memoria “interrotta”. Le cause di tale perdita, strettamente legate alla storia dell’Ospedale civile, innescate dagli eventi legati dalla promulgazione delle “leggi razziali”, vanno però ricercate nel piano di rinnovamento della città condotto nel secondo dopoguerra dalla pubblica amministrazione. Soffermandosi non solo sulla storia del demolito palazzo – della sua architettura, delle sue decorazioni e del suo giardino –, viene così a delinearsi il ritratto di una grande e potente famiglia e della sua influenza durata per generazioni, in cui si riflettono anche i gusti e i fermenti culturali dell’epoca.

Martina Massaro (Padova 1977) si occupa di storia del collezionismo tra Otto e Novecento lungo un crinale in cui si incontrano la storia dell’arte, dell’architettura e della città. Padovana di nascita, ha condotto i suoi studi a Venezia a Ca’ Foscari con Lionello Puppi; poi, sotto la guida di Donatella Calabi, ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia delle arti presso la Scuola dottorale interateneo Ca’ Foscari - Iuav con una tesi sulla committenza Treves. Dal 2013 è stata assegnista di ricerca all’Università Iuav di Venezia e dal 2017 presso il dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Padova. I suoi interessi si concentrano principalmente sulla committenza ebraica dopo il periodo dell’emancipazione. Il suo approccio è aperto a contaminazioni interdisciplinari con la storia economica e sociale. Dal 2013 è membro del gruppo di ricerca internazionale Visualizing Cities in collaborazione con la Duke University.

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