Il monumento storico e l’archistar

13 Marzo 2025

Nel campo della progettazione architettonica del nuovo gli archistar sono stati e sono un riferimento altissimo per tutta la cultura del settore. Hanno creato architetture, hanno aperto vie di ricerca, sperimentato volumi, spazi, soluzioni formali e tecnologiche, hanno avuto il coraggio e la capacità di concretizzare in architetture soluzioni estreme che sono state scuola e riferimento costante per tutti: architetti, ingegneri, committenti e imprese. Ma progettare in un edificio antico – che è frutto di saperi costruttivi preindustriali, che ha storie lunghe e vite stratificate, invecchiamenti particolari – richiede competenze diverse rispetto al progetto di una nuova costruzione. È necessario avere una cultura e una preparazione tecnica specialistica nel restauro architettonico, altrimenti può diventare un progetto di distruzione.

 

 

Prima della calata degli archistar nel mondo del restauro dei monumenti storici italiani esisteva un fertile e ricco dibattito che interessava sia quel ramo della progettazione del nuovo che si rapportava con l’antico sia quel settore del restauro architettonico che sondava i confini del rapporto antico-nuovo. Erano mondi che trovavano luoghi di scambio culturale, mondi che stimolavano un confronto tra studiosi che si riconoscevano in un ampio ventaglio di posizioni; pur nella diversità, la riflessione arricchiva tutti con beneficio della cultura dei progettisti e di quella dei restauratori.

 

 

In modo diverso, oggi la progettazione di molti archistar nel contesto storico pare concentrarsi all’interno di monumenti di grande importanza culturale e architettonica rinunciando al dialogo colto per contrapporvi il solo gesto forte dirompente, invasivo e irreversibile di arrogante violenza. Perché arrogante? Perché rinuncia al confronto, al dibattito critico, perché non dà risposte che nascerebbero dallo scambio con la cultura del restauro. Perché violenta? Perché non si affianca al monumento antico con nuove architetture ma si insinua al suo interno, lo demolisce, lo deforma e lo altera, perché aumenta i volumi, perché, in pratica, impone il cambiamento come unica via del progetto. L’ipotesi è che la lezione dei maestri, da quelli di ieri ai contemporanei, sia stata recepita solo nel suo lato peggiore: il devastante concetto di modifica; la modifica preconcetta del progettista innovatore, quando questo si cimenta con la Storia.

 

 

Per dare voce a questo problema che da molti architetti e ingegneri è sentito profondamente, per far conoscere anche ai non addetti ai lavori l’entità delle trasformazioni che l’invasione degli archistar sta producendo nei contesti monumentali, per cercare di evitare che questi devastanti interventi si trasformino in esempi da seguire per nuovi mini-archistar e per tenere alta e costante l’attenzione nei confronti della conservazione del patrimonio architettonico è nato Il monumento storico e l’archistar. Dramma in tre atti, a cura di Cesare Feiffer, con prefazione di Francesco Cellini.

 

 

Un edificio come tanti ne esistono in moltissime città italiane ci racconta le sue fasi costruttive e quelle del degrado, la sua storia lontana e quella recente, ci parla dei grandi eventi politici dei quali è stato testimone e del quotidiano sociale che vive tutti i giorni.
Parlano le pietre, gli intonaci, i mattoni, le travature, i coppi e molti altri loro “colleghi” che con passione e con amore raccontano la loro storia: come sono stati approvvigionati, posati in opera, manutenuti o dimenticati nel tempo.
Ad ascoltarli, in questo loro delicato, ironico ma allo stesso tempo colto dialogo, un soprintendente che riesce a sentirne le voci e con loro interloquisce, chiede, ascolta, accarezza e riflette sui problemi e sui temi della conservazione del patrimonio architettonico.
Una fiaba che diventa dramma quando entrano in scena il sindaco della città e l’archistar, e con loro programmi innovativi, progetti distruttivi, interventi incompatibili e di pesante trasformazione gratuita dell’antico documento, pronti a zittire quel fertile scambio a cui avevamo assistito.
Un volume che diventa testimonianza – attraverso la presentazione di alcuni degli interventi effettuati in contesti storici da grandi nomi dell’architettura – di una tendenza sempre più diffusa nel panorama attuale che, ignorando ciò che la cultura del restauro ha maturato in centinaia d’anni di dibattito, calpestando documenti nazionali e internazionali, in deroga a normative di tutela e con la presunzione di chi volutamente trascura tutto ciò, ha distrutto l’antico monumento in modo irreversibile per lasciare il segno della personale creatività. Un volume che intende far sorridere con una fiaba non a lieto fine, dunque, ma soprattutto una denuncia di tutti quegli interventi che stanno distruggendo un patrimonio condiviso, un patrimonio che, come diceva John Ruskin, appartiene già ai posteri.

 

 

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